lunedì 3 novembre 2008

Donne alla finestra (nei quadri)

Donne alla finestra

Ci sono soggetti ricorrenti nei quadri, certo. Uno di questi è quello delle donne alla finestra. Accostate, ritrose, distanti; donne dal trepido profilo o dalla nuca enigmatica.

In Hopper, le donne malinconiche o accompagnate da un bicchiere volgono le spalle ai grandi vetri del locale pubblico in cui siedono; qualcuna sembra cercare con gli occhi il taxi che la porterà via dall’oscuro motel in cui è scesa. In pochissimi casi guardano all’infuori con gioia distesa, osservando la giornata che ha inizio o godendo del tepore dei raggi del sole, nuda sul suo letto.


Lontana sembra la fanciulla pudica di van Vermeer, tutta intenta a leggere la sua lettera: la finestra offre la luce indispensabile per una chiara lettura, null’altro. E che dire della vezzosa ragazza di Dalí?

Proprio come è per il muliebre dorso (ritratto cento e più anni prima), di Caroline moglie di Caspar Friedrich, la sua figuretta prosperosa (di accento magrittiano) guarda alla darsena. Non c’è malinconia, solo un pizzico di erotica indolenza in quel quadro del ’25.

E nella stessa epoca la donna di Magritte - in periodo dechirichiano - al di là della finestra lasciava sorgere, come fiore, una mano e parte del braccio.

La finestra: scatola, vetrinetta in cui rinchiudere l’energia fattrice della donna o slancio vitale verso l’esterno, il mondo? In Severini, donna e finestra sono confusi in un turbine futurista; aboliti i confini, le censure, i diktat: qual è la donna e quale la finestra? Nella Marianna preraffaellita di Millais, invece, la finestra istoriata da motivi religiosi fa da rinforzo estetico-eretico alla silhouette blu della giovane donna, languidamente mistica e sensuale.

Venendo ai giorni nostri, la ragazza di Gina Roma, senza lineamenti a connotarla, sembra farsi tutt’uno con la luce rosea del fuori-finestra: è un continuum, l’in-sé che si sposa col resto del mondo. Per il lucchese Lorenzetti, poi, ella è poco più che ragazzina, senza i misteri della donna: la nuca non nega il volto, ché i tratti ci vengono restituiti dal riquadro rettangolare della finestra. Tutto il suo corpo anela al mondo esterno, tant’è che il ginocchio si appoggia su di uno scranno per poter andare verso, anzi, al di là della stanzetta che la racchiude.

Attonito è invece il profilo della donna di Toulouse-Lautrec: forse rassegnato. Non c’è più romanticismo che illuda la donna nello sguardo: fuori dalla finestra non c’è pace, non c’è gioia, né – in ultimo – dolore, ad attenderla. Bambola meccanica priva di anima, la donna è chiusa in sé.

E la finestra - seppure aggraziata da bianche tendine ricamate – resta chiusa. Il mondo esterno non l’attrae più. Non ci sono Tartari da attendere nella Fortezza Bastiani che è la vita.

Jacqueline Spaccini

Zagabria, 20 maggio 2005

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