martedì 11 novembre 2008

Ignazio Silone: davvero importante stabilire da che parte politica stesse?

Ignazio Silone al secolo Secondino Tranquilli: un caso di non-omen nomen

di Jacqueline Spaccini
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Fontamara l'abbiamo letto tutti. In genere nell'ultimo anno di liceo e su consiglio/obbligo della professoressa di italiano. Diciamo che non l'abbiamo più riletto.
E diciamo anche che se amavamo la letteratura intesa anche come denuncia, l'abbiamo apprezzato. Se poi eravamo - socialmente parlando - a mezza strada tra la classe borghese e quella contadina, ci siamo anche sentiti un po' difesi, da Silone.
Poi, l'oblio.


E ancora oggi, Silone appartiene a quella schiera di scrittori di cui non ci si occupa più (gli fanno compagnia, tra gli altri, e in ordine sparso: Moravia, Bontempelli, Pratolini, Brancati, Sciascia, Borgese, Pavese, Buzzati; per tacere dei poeti). Ché anzi, a farlo, si è pure visti con sospetto.
Pare abbiano come una maledizione su di sé. I motivi sono sempre i soliti, una questione di scaramanzia (questo o quello portava jella) o di politica (era filofascista, filostaliniano, doppiogiochista, [troppo] indipendente, qualunquista).

Silone rientra in uno dei casi succitati.
Eppure. C'è da chiedersi se ancora oggi si debbano leggere i libri (il contenuto dei libri) alla luce di una posizione ideologica o - dico io - se non sia molto più redditizio per la nostra personale cultura andare a leggere e ascoltare (capire) quel che le parole ci dicono.

Prendiamo il caso di Fontamara. Dico Fontamara perché è il suo testo più famoso.


Qualche coordinata, a mo' di scheda. Scritto nel '30 (ma pubblicato nel '33), a Davos, in Svizzera. Conosciuto dapprima in traduzione e solo in un secondo momento in italiano.
Perché? Perché l'abruzzese Ignazio Silone (pseudonimo di Secondino Tranquilli) - sentendosi minacciato dal regime mussoliniano a seguito della sua militanza antigovernativa - è partito in esilio volontario, stabilendosi poi a Zurigo. Credo che la decisione di partire fosse stata provocata non già dalla pressione fascista, bensì dall'incarcerazione del fratello Romolo[1] (che morirà di lì a poco) da un lato, e dalla delusione provata per il comunismo dall'altro[2].
E dunque in Svizzera (dove resterà fino al 1944, seppure alla fine da internato) esce Fontamara in versione tedesca.
Grande è l'eco che si diffonde nelle nazioni limitrofe.

La storia è semplice (come tutte le grandi storie, eccezion fatta per quelle russe). Si svolge in Abruzzo, nella zona del Fùcino, dalle parti di Avezzano (Fontamara è un nome inventato). Protagonisti ne sono i cafòni, ossia i contadini non istruiti della piana. Comprimari sono gli arroganti, i potenti, i codardi, tutti rappresentati con nomi allegorici: Don Magna, il latifondista, l'impresario, il podestà; don Circostanza (l'avvocato apparentemente dalla parte dei deboli, l'azzeccagarbugli della situazione) e don Abbacchio (il prete che "abbacchia" - per i francesi: celui qui décourage).
Dalla parte dei cafoni, c'è solo un altro cafone (Berardo Viola) che farà una triste fine (corre subito il pensiero a Romolo Tranquilli, il fratello di Silone) e un invisibile Solito Sconosciuto che salverà la vita dei tre narratori intradiegetici del romanzo (una famiglia fontamarese: Giuvà, Matalè e il loro figlio Antonio, sfuggiti alla morte), i quali riparano all'estero.
Tutto ha origine a causa della penuria d'acqua. Acqua, di cui sono privati a causa dell'appropriazione - da parte dell'impresario coadiuvato dai notabili del paese - delle terre, di già aride e sterili, dei contadini. L'arrivo delle squadre fasciste non fa che peggiorare la situazione, e alle proteste dei cafoni viene risposto con lo sterminio di tutti i Fontamaresi, a parte i pochi che riescono a fuggire.



video che approfittando della nebbia sulla piana, dà conto - dà la suggestione -
di come doveva essere il lago Fucino, prima che fosse prosciugato.


Silenzio in Italia, ove l'opera è censurata.
Quel che aveva di sconvolgente, Fontamara, da subire la censura (il divieto di stampa e di lettura), è fin troppo facile da capire. Ma non è un romanzo - a mio dire - esclusivamente antifascista o quantomeno di critica dura al fascismo. È anche la risposta corale (alla maniera greca) o meglio la prosecuzione di quei Malavoglia verghiani che restavano individui. Qui se il popolo di contadini è protagonista, tuttavia, lo è in maniera passiva (ancora passiva). La mancanza di istruzione impedirà loro di saper reagire di fronte alla congiura ordita ai loro danni.



Silone con la moglie Darina

Per Silone, arriverà alfine la possibilità di rientrare in Italia. Dapprima si lega agli ambienti del PSIUP, poi aderirà al PSDI, per decidere alfine di essere stato uno sconfitto nella lotta politica italiana.
Socialista senza partito e cristiano senza chiesa, muore nel 1978 a Ginevra.
Le sue ultime parole, le pronuncerà in francese: Maintenant, c'est fini. Tout est fini. Je meurs. [per questa frase, fonte: Luigi Malatesta]
* * *
Nel 1996, arriva la mannaia: Silone era un doppiogiochista. L'accusa arriva da Firenze, nel corso di una conferenza in cui vengono mostrati documenti tratti dall'Archivio Centrale di Stato (per gli approfondimenti, clicca qui). Ma le sue ceneri sbiadivano da oltre diciotto anni.

Continua a non esserci pace, tra gli ulivi.

Jacqueline Spaccini
(abbozzo di inedito)

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[1] Arrestato nel 1928 e accusato di essere l'autore dell''attentato al re Vittorio Emanuele III. Condannato a 12 anni di reclusione, morirà - pare - in seguito alle torture subìte in carcere nel 1932.
[2] Recatosi a Mosca insieme con Togliatti nel '27, assistette all'espulsione di Trotskij dal partito [fonte non accertata].

1 commento:

marina ha detto...

Non lo sappiamo bene se ci importa, ci dobbiamo riflettere...
Ma tutti i miei alunni cui ho letto Fontamara in classe (alunni delle Medie, provincia romana, anni 60-70) lo hanno amato.
ciao, marina