martedì 4 novembre 2008

IN VINO ARS ovvero L'etichetta illeggibile di Cézanne

IN VINO ARS

ovvero L’etichetta illeggibile di Cézanne

di Jacqueline Spaccini

[1° premio Moscato Wine Festival 2006]


Nessuno può di certo levare i calici nella Cena di Leonardo: il vino, simbolo della convivialità e del sangue di Cristo che di lì a poco sarà versato, non deve comparire nelle mani dei tredici convitati: anticiperebbe il tradimento che invece è affidato al dito verticale di Giuda Iscariota e giace dunque col suo colore aranciato, ben poco visibile agli spettatori dell’affresco, nei bicchieri seminascosti da miche di pane.


In altre tele il vino è assente, Gesù e gli apostoli pasteggiano all’asciutto: come nell’affresco di Andrea del Sarto.


E a ben guardare, non v’è traccia di vino in altre «Cene»: soltanto Tintoretto, apparecchia la tavola e dispone quattro caraffe di cristallo, piene fino all’orlo di vino biondo nella sua Ultima Cena.



La giovinetta in carne del Concerto campestre di Giorgione tiene in mano una caraffa trasparentissima con la quale attinge acqua dalla fontana alla sua destra. Nell’innaturalità della scena che si vuole di una simbologia naturalissima, è l’acqua il liquido che purifica i nostri sensi, non certo il vino.



Persino Caravaggio, l’anticonformista per eccellenza, al Cristo della Cena in Emmaus offre semplice e limpida acqua. Il Bacco ha lo sguardo reso torbido dal vino che alza in direzione dello spettatore e il Bacchino malato si accontenta della sola uva. Insomma, lo stimato nettare degli dèi, fatica a trovare il suo giusto posto nella grande arte figurativa.

Ci sarebbero gli olandesi figli di Brueghel: in un Autoritratto del 1636, un Rembrandt un po’ ebbro alza con la destra un bicchiere chilometrico, contenente un liquido paglierino, mentre tiene la sinistra ben avvinghiata ai fianchi della sua Saskia.


In un altro olio fiammingo di Pieter de Hooch, una coppa di vino riluce tra le mani di una ragazza e di una vecchia che discutono attorno al panchetto, davanti casa in compagnia di un bel giovane. La ragazza sta immergendo un pezzo di pane, forse un biscotto, nel suo bicchiere: fa la zuppetta, è una bella giornata; il sole biondo, come la bevanda, colpisce la casa di mattoncini rossi e il tutto rende l’intimità della scena.

Più distante, ornamentale, è la presenza enoica nelle tele del timido e raffinato Chardin: anfore, caraffe e boccioni sono in terracotta o risolutamente neri, ignoto è all’occhio il loro contenuto che va suggerito come natura morta – ma non mostrato –, spesso a terra col tappo in sughero e davanti alla scansia di un buffet.

Il vino, insomma, è confinato nelle beuveries di contadini o nei loro interni domestici, ma lì almeno è protagonista, seppure come simbolo di povertà, compagno di miseria di un proletariato ancora in fieri. Come era nella Taverna dipinta da Van Ostade popolata da personaggi caricaturali, anonimi, rozzi e abbrutiti; ma anche nei quadri dei fratelli Le Nain, particolarmente La famiglia di contadini. Se la tavola di costoro è apparecchiata (ma vuote sono le scodelle), la mater familias tiene saldamente una caraffa bianca di terracotta con una mano e nell’altra stringe un (fin troppo raffinato) calice di vetro riempito di robusto, e presumibilmente casalingo, vino rosso.


Proseguendo in questa rapida incursione nel mondo dell’arte, il liquido divino fa la sua apparizione – e spesso – nelle tele che mettono in scena la deboscia, la decadenza, come in Décadence de l’Empire romain di Couture che campeggia al Musée d’Orsay,

e in La morte di Sardanapalo di Delacroix.

Ma il suo disvalore morale è presente anche in tele meno didascaliche: in Degas, una delle Stiratrici afferra per il collo una bottiglia dal liquido indefinito.

Dentro, presumibilmente v’è un appretto rudimentale, chissà, fors’anche dell’acqua, ma altro evoca: allora, dentro potrebbe esserci del vino (all’assenzio, Degas ha già consacrato un quadro), come suggerirebbe lo sbadiglio prolungato della donna, insieme con quel suo gomito rialzato… Il vino dei poveri, di baudelariana memoria, è un vino di Zucco allungato con acqua, come usava all’epoca presso la classe proletaria. Nella migliore delle ipotesi.


Solo in Renoir, la presenza del vino nelle tele si fa allegra e perde ogni accezione di miserabilità: nel Déjeuner des canotiers, ben quattro bottiglie di rosso troneggiano sulla tavola. Il suo non è un vino formale (Renoir era figlio di artigiani): due bicchieri sono ancora pieni per metà, e anzi, una signorina molto seria sorseggia un poco di vino, assorta in altri pensieri…



Bisognerebbe poi chiedere a Cézanne di che marca è quel suo vino, d’un rosso corposo e imperioso, che se ne sta impettito dietro a un ammasso di cipolle: l’etichetta è infatti illeggibile.


Bizzarro sarebbe stato trovare nelle atmosfere chiuse dei Nottambuli, di quel genio del ventesimo secolo che è Edward Hopper, una traccia di vino; lui era un newyorkese purosangue, le viti californiane non erano dans le vent come oggi, quindi solo caffè lunghi accompagnano la malinconica solitudine della modernità.


Che ne è stato dunque della lezione pompeiana? Seppellita insieme con la sua civiltà. E che non si tirino in ballo le nature morte: nessuno mai avvicinerà le sue labbra alla coppa d’argento, al vino sublimemente giallo limone posato feralmente, per l’eternità, nel bicchiere di Pieter Claesz.


Jacqueline Spaccini, 2005/2006

Pinacoteca

Leonardo, Ultima cena. 1495-97, Milano, refettorio di Santa Maria delle Grazie

Andrea del Sarto, Ultima cena. 1519, Firenze, Convento di San Salvi

Tintoretto, Ultima cena. 1592-94, Venezia, San Giorgio Maggiore

Giorgione, Concerto campestre. 1510, Paris, Louvre

Caravaggio, Cena in Emmaus. 1596-98, London, National Gallery

[Caravaggio, Bacco. 1596-97, Firenze, Uffizi]

Caravaggio, Bacchino malato. 1591-93, Roma, Galleria Borghese

Rembrandt, Autoritratto. 1636, Dresda, Gemäldegalerie

Pieter de Hooch, Coppia seduta. 1660-65, Amsterdam, Rijksmuseum

Chardin, La dispensiera. 1739, Paris, Louvre

Van Ostade, Taverna. 1641, Münich, Alte Pinakothek

Fratelli Le Nain, Famiglia di contadini. Metà ‘600, Paris, Louvre

Couture, Les Romains de la décadence. 1847, Paris, Musée d'Orsay.

Delacroix, La morte di Sardanapalo. 1827, Paris, Louvre

Degas, Le stiratrici. 1884-86, Paris, Musée d’Orsay

Renoir, Le Déjeuner des canotiers. 1880-81, Washington, The Phillips Coll.

Cézanne, Natura morta. 1895-1900, Paris, Musée d’Orsay

Hopper, Nottambuli. 1942, Chicago, The Art Institute of Chicago

Claesz, Natura morta con bicchiere di vino e coppa d’argento. Metà ‘600, Berlin, Staatliche Museen


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