giovedì 19 febbraio 2009

La Commedia del Diavolo di Balzac

E un giorno Balzac si chiese: Chi mando all'inferno?

di Jacqueline Spaccini


Honoré de Balzac, La Commedia del Diavolo. Faenza, Mobydick, 1997, pp. 168.
Presentazione e traduzione di Stefano Doglio.

Che succede se un artista grandissimo, prolifico e poliedrico, la cui fame di scrittura è comparabile solo alla voracità pantagruelica, decide di partorire un'anti-divina commedia, una commedia dantesca alla rovescia?
Probabilmente, l'opera avrà la stessa sorte riservata alla Commedia del diavolo di Balzac: l'aborto.
Rovistando tra gli "scarti" dello scrittore, Stefano Doglio ha riesumato un lavoro nel quale Balzac non credeva più, tanto da lasciarlo incompiuto. Ma se anche gli scarabocchi di un Mirò sono stati esposti al grande pubblico, perché non fare la stessa cosa in materia di letteratura? E invero, persino i detrattori del genio balzacchiano (tra i quali la sottoscritta) hanno in questo modo la possibilità di stabilire confronti tra il celeberrimo, il noto e l'incunabolo; convenendo un'equazione tra quel che un autore giudica - e non giudica - degno di pubblicazione.
C'è da aggiungere che l'introduzione di Doglio è così colta e accattivante che prende subito il gusto di andarsi a leggere le pagine che seguono.


La comoedia è questa: un giorno il diavolo decide di costruire un teatro nella sua sede infuocata e convoca i dannati per scegliere un testo da rappresentare. Alla stregua di padre Dante, Balzac precipita negli inferi soggetti storicamente poco raccomandabili (Cleopatra, père Lachaise, Mazarino), così come i suoi personali nemici (Victor Cousin, per esempio, volgarizzatore nella metà dell'Ottocento delle teorie platoniche) o i pensatori a lui cordialmente antipatici (Confucio, sant'Agostino e Voltaire).



Sta di fatto che un piccolo dannato - guest star dell'intera vicenda, spalla dell'interprete principale, Satana - liquida tutti i postulanti, mandandone al macero le carte e le velleità, finché, facendosi beffe persino del suo sovrano, non viene promosso demonio sul campo.
Balzac si diverte a ridicolizzare tutti i generi (presentandone un vasto campionario) coi loro geni, spegnendone gli afflati umani o umanistici (o pretesi tali).
Sarà per questo che non volle darle il testo alle stampe? E se non fosse stato altro che una sorta di diario intimo, su cui sputare odi e livori, risentimenti e invidie?

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Pubblicato da Avvenimenti, il 5.03.1997










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