martedì 23 giugno 2009

Aspetti del postmoderno letterario: quando l'autore diventa personaggio

Quando l'autore diventa un personaggio
(ovvero siamo tutti postmoderni)


di
Jacqueline Spaccini




Alessandro Iovinelli. L'autore e il personaggio. L'opera metabiografica nella narrativa italiana degli ultimi trent'anni.
Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, 2005, 472 p., 36€.
ISBN 9788849812282

* * *

Alessandro Iovinelli è un critico atipico. Nasce come poeta, si fa romanziere, poi novellista. Segue un corso di giornalismo, lavora per Avvenimenti, si fa critico. Ma anche professore, prima al liceo e poi nelle università croate e francesi. Intraprende un'attività di traduttore dopo aver fatto l'editore, finendo funzionario di Stato, vale a dire Addetto Culturale presso il MAE.
Scrive e legge. Legge e scrive. Organizza eventi culturali di spessore in Italia per l'Unesco (sua per esempio l'invenzione, ideazione e programmazione della Giornata mondiale della Poesia e il portale Babele poetica con poesie di tutto il mondo) e all'Estero per l'Ambasciata d'Italia. Ma ha un difetto: è un uomo schivo.


(Debbo proprio spiegare perché ho messo Corto Maltese?)

E allora quest'uomo che non usa i gomiti per farsi avanti e anzi preferisce nel caso fare un passo indietro, ha scritto un saggio dal quale non si può prescindere se si fa (o si vuole fare) critica letteraria. La domanda attorno alla quale fa perno tutto il libro è la seguente: che fine ha fatto l'autore, si chiede Iovinelli, è per davvero morto o non si è per caso trasformato in qualcosa d'altro?

Il fatto è che l'autore, signori miei lettori, è un mutante.

A. Iovinelli nel suo studio zagabrese

E il critico, il nostro, è un deduttivo.
Sicché come si conviene a un critico strutturalista (convertitosi narratologo) apre il libro con un capitolo che introduce al tema del dibattere: la teoria della morte dell'autore di Roland Barthes, il dibattito sulla biografia [sì, perché spessissimo un autore diventa personaggio quando si fa oggetto di una (auto)biografia], con tutta la problematica sulla metafiction e i paradigmi della nuova critica letteraria.
Iovinelli è critico coscienzioso: riporta tutto tutto tutto quanto - in merito - conti per davvero.

Nel secondo capitolo, Iovinelli passa ad analizzare profondamente i vari tipi di biografie letterarie - perché c'è stata una evoluzione considerevole negli anni -, soprattutto a partire dagli anni '70, quando il biografo di routine è stato sostituito dal giornalista-critico-futuro autore (altro mutante).

Davide Lajolo

È cambiato il taglio (basta con l'incipit alla "XY nacque a Vattelapesca nell'anno quello-lì"), la prosa si è fatta agile, a tratti divertita, la storia ha inizio in medias res, talvolta addirittura in punto di morte con la biografia che va à reculons. E allora abbiamo Davide Lajolo per esempio che fa la biografia del suo amico Pavese e inventa per il suo libro un titolo che avrà un successo straordinario: Il vizio assurdo (antifrasticamente, rispetto alla vicenda umana di Cesare - per esprimere l'amore per la vita).

Ma poi a volersi far biografo si prova anche il romanziere. Proiezione identitaria? Identificazione? Semplice ammirazione? Fatto sta che per un Tobino che idealizza Dante Alighieri c'è una Rasy che nella sua Ada Negri ritrova la nonna e la Ginzburg che prosegue la sua vita in quella da lei narrata della famiglia Manzoni...

Natalia e Leone Ginzburg

Ma come sono descritti poi questi autori? Come si fanno personaggi? Sono solo silhouette, stereotipi a memoria scolastica o riescono ad essere di carne e di sangue, a prendere persino un po' di adipe attraverso altrui parole? Diventano per davvero personaggi o l'effetto è lo stesso di quando vediamo un attore famoso e non smettiamo di pensare: Quello è George Clooney, George Clooney, Clooney e non riusciamo a memorizzare nemmeno il nome del personaggio - faccio un esempio - Fred Friendly? [1].


Dipende. Da che dipende?
Dipende da due cose, osserva Iovinelli. La prima condizione è che il biografato sia qualcuno con una forte sostanza di vita (i troppo eterei non funzionano); la seconda (conclusiva o disgiuntiva, come le congiunzioni) è quanto si sente libero il biografo. C'è quello che racconta la storia di un autore di cui si sa poco o nulla (largo margine di manovra) e quello che invece opta per un autore-personaggio dai mille aneddoti. Ce n'è per tutti i gusti.

Ma al nostro critico interessano le strategie narrative. Entrare nei segreti della narrazione. Il dietro-le-quinte linguistico. E allora un capitolo intero è dedicato a Pietro Citati: a lui come autore e critico, agli incipit delle sue opere (Citati ha scritto le biografie di Proust, Goethe, Kafka...), ai problemi posti dalla letteratura metaletteraria, cioè all'opera letteraria che parla della letteratura, che si cita addosso - direbbe Woody Allen, ma anche alla scrittura ipertestuale, al paratesto e l'intertesto, tutte cose affascinantissime - che si sia genettiani convinti, o che non si sappia nemmeno di che cosa sto parlando.

Perché la scrittura del critico prende. È colto ma non pedante, profondo senza annoiare.
E poi c'è tutta la seconda parte del saggio che farà la gioia degli studiosi (anche di quelli agli inizi di carriera, dei laureandi insomma); è talmente complessa che mi limito a dirvi: cliccate qui, c'è l'indice dei capitoli e dei paragrafi.

L'ultima parte poi, è un saggio nel saggio: tutto dedicato all'opera di Antonio Tabucchi (ma anche a Pessoa) e alle questioni del postmoderno letterario.


A. Iovinelli e A, Tabucchi a Aix-en-Provence
durante il conferimento del doctorat honoris causa
allo scrittore (2007)



Un libro di riferimento, da consultare di continuo. Un libro prezioso, insomma.
[Jacqueline Spaccini]

Saint-Cloud, 23.06.2009


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[1] Non vi viene in mente? Si tratta del personaggio del giornalista in Good Night and Good Luck (2005) per la regia dello stesso Clooney.

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