venerdì 5 marzo 2010

OSSESSIONE di Luchino Visconti : analisi del film (parte I)

PARTE I


«Storie di uomini (e donne) vivi»


PER I MIEI STUDENTI DI CIVI L2 IT12B2 (e non solo)


I valori umani e le problematiche civili e sociali del secondo dopoguerra nel cinema neorealista



Del 1943 è un film che sarà considerato l'antesignano, il primissimo punto di riferimento, del cinema neorealista: si tratta di Ossessione del regista Luchino Visconti (1906-1976).

La pellicola è proiettata il 16 maggio 1943 come première (nel 1959 in Svezia, nella Germania dell'Ovest e in Francia. Negli Stati Uniti, uscirà solo nel 1976, al New York Festival) in una sala cinematografica romana che non esiste più.

Fin da subito, si accendono dibattiti e polemiche; c'è chi grida allo scandalo e chi dice che è un film che fa riflettere. Ma in generale, c'è uno storcimento di nasi (et pour cause !) della critica imbavagliata dal regime.

Visconti che dà istruzioni a Clara Calamai (Giovanna) e a Massimo Girotti (Gino)

Ben presto, però, la censura fascista boicotta l'opera e - secondo la testimonianza di uno degli sceneggiatori, Gianni Puccini - «i fascisti di Salò trafuga[...]no il negativo [e] lo tagliuzza[...]no» [1] . Sicché le copie in circolazione - a partire dal 1957 - anno dello sdoganamento ufficiale del film - sono tratte da «un controtipo di cui Visconti si era fornito fin dal '43» [2].


Vita dura per questa pellicola che nel 1946 conoscerà anche una denuncia per plagio da parte del regista francese Pierre Chenal, autore di Le dernier tournant, uscito nel 1939. Dieci anni di processo, al termine del quale, Luchino Visconti verrà assolto per non aver commesso il fatto [3]. In realtà, Ossessione di Visconti, si rifà non già a Il postino suona sempre due volte (1934), che tanto successo avrà nel cinema, anche posteriormente (penso al film del 1981, quello con Jack Nicholson e Jessica Lange, per esempio), bensì a un dattiloscritto di Jean Renoir[4], traduzione e/o adattamento del romanzo americano in questione.

Fatte le dovute citazioni, passiamo ora al cast e poi al film vero e proprio.
Sappiamo che la protagonista femminile doveva essere Anna Magnani, ma nel 1942 era indisponibile, in quanto incinta del figlio Luca (che nascerà nell'ottobre di quell'anno). Visconti si volge allora a una apparentemente giovane attrice, Clara Calamai.

Nata nel 1915, ufficialmente - in realtà nel 1909 - la pratese Calamai approda al film Ossessione, che ha già 33 anni (ufficialmente 27). All'epoca, ciò vuol dire fattezze di donna matura o quasi. E d'altronde, così dev'essere: la Magnani - classe 1908 - nel '42 ha già 34 anni. E dunque, la protagonista femminile (vorrei dire: assoluta) è lei, Giovanna Bragana.


Massimo Girotti - lui sì giovane: ha 24 anni - interpreta Gino Costa, un vagabondo senza arte né parte. Sa fare un po' di tutto, non ha fissa dimora e non possiede denaro sufficiente neanche a pagarsi un pasto in trattoria. Girotti è scelto da Visconti per il fisico prestante (è stato un campione sportivo in diverse discipline).


Allo spagnolo Juan de Landa (doppiato da Mario Besesti) è attribuito il ruolo di Bragana, l'attempato e grasso marito di Giovanna. Nel film dovrebbe avere intorno ai 60 anni, in realtà l'attore all'epoca aveva 48 anni... Gli altri due personaggi degni di nota sono Giuseppe Tavolato alias lo Spagnolo, interpretato da Elio Marcuzzo (di Treviso) e la giovane Anita, che ha le fattezze della romagnola Dhia Cristiani.


Veramente c'è da chiedersi perché Visconti sia ricorso a un romanzo americano per descrivere la zona del Ferrarese compresa tra la S.S. 16, quella che un po' più in là prende il nome di Romea. Strada battuta continuamente da camion (come si vede nel film), con quella locanda fantomatica in mezzo alla strada e la sua pompa di benzina. Pochi gli avventori e sembrano quasi figuranti privi di vita. Sempre immobili. Se l'aria è pesante e calda (s'ode il frinire delle cicale), se l'umidità buona solo per le zanzare malefiche si incolla al corpo e brucia pensieri e speranze trasuda dalla pellicola, che cosa c'entra il libro di James Cain?

Tutto sommato, non aveva poi così tanto torto quel critico italiano che, recensendo il film nel '43, scrive: « anche nelle opere di Bacchelli, di Piva, di Govoni [...] che - con buona pace dei raffinati - precedono le narrazioni filmiche di Renoir, di Carné, di Duvivier - vi sono gli autocarri, le osterie, le armoniche, le biciclette, le sbornie, i vagabondi, le donne calde»[5].

E dunque, la storia del film e la storia che la pellicola narra. Un film (in questo caso, felicemente) imbrigliato dall'intento autoriale (e di tutto il gruppo di «Cinema»[6]) di farne un manifesto. Scriverà Visconti: «Al cinema mi ha portato soprattutto l'impegno di raccontare storie di uomini vivi: di uomini vivi nelle cose, non le cose per se stesse.»[7].

Gli uomini vivi stanno in un Paese vivo, dove «vivo» sta per reale, autentico, verace. Diametralmente opposto alla produzione antecedente dei telefoni bianchi[8], ma anche dissimile da peraltro interessanti commedie atemporali come il simultaneo Campo de' Fiori[9].


La cruda realtà (sia pur estetizzata dalla macchina da presa, aggiungo io): statale polesana, dalle parti di Codigoro (a un'ora di bicicletta), zona del Polesine. O meglio, zona del Polesine all'epoca. Oggi è la provincia di Rovigo (e non la provincia di Ferrara) che rientra nel Polesine, parola che significa Palude, da cui il primo titolo del film, poi mutato in Ossessione). un camion si arresta davanti a una trattoria. Un clandestino a bordo viene scaraventato giù, in malo modo. Lui non sembra prendersela per nulla e in silenzio si avvia verso la taverna.

All'interno, supera il bancone ed entra direttamente nella cucina; una voce di donna che canta lo attrae come un canto di sirene: Fiorin fiorello, l'amore è bello vicino a te. Mi fa sognare, mi fa tremare chissà perché. Fior di margherita, cos'è mai la vita, se non c'è l'amore che il nostro cuore fa palpitar?
Giovanna è annunciata dalle sue gambe:


Orbene, la disperazione di Giovanna dev'essere grande. Bragana è grasso e vecchio (come lei sottolineerà più volte, esasperata, all'orecchio di Gino), l'osteria non è un granché (e l'ostessa - cioè lei - non dirige con ordine adamantino lo spaccio), ma il giovane seppur bello è un poveraccio, neanche tanto pulito, a giudicare dagli indumenti e dall'orlo scuro sulla canottiera sporca e sdrucita sotto le ascelle.
Tant'è, la passione non guarda a queste cose e la disperazione non è igienica.

Ben presto, s'instaura un gioco di sguardi, cui fa séguito, alla prima sortita del Bragana, il rapporto sessuale (la musica di Giuseppe Rosati è da thriller, ma non è un giallo, quello di Visconti):


Dopo l'amplesso che non ci viene mostrato e per il quale Visconti ricorre a una cauta ellissi, ma che ci viene generosamente suggerito attraverso il torso nudo di lui, la macchina da presa induce in un virtuosismo. Sul lato sinistro dell'immagine vediamo Gino/Girotti che dopo aver rapidamente immerso il proprio pettine in una bacinella ricolma d'acqua (la metafora è chiara, ritengo), si passa il pettine tra i capelli come si faceva una volta usando la brillantina. Sulla parte inferiore destra, c'è un piccolo specchio quadrato che «sorprende» Giovanna/Calamai sdraiata sul letto nuziale, alquanto irrealmente vestita, che chiede:



- Quando ti sei accorto che mi piacevi?
- Subito. Quando ti ho domandato da mangiare.

Riporto qui sotto il fotogramma arrestato sullo sguardo di lei mentre lui le chiede se si può mangiare in quel posto (grazie al quale Gino ha subito capito di piacerle):


L'immagine nell'immagine (parlo dello specchio cui ho appena accennato), con la quale van Eyck ci ha deliziato e ci delizia ancora, credo omaggi (la cultura raffinata di Visconti era smisurata) la Venere e Cupido di Velázquez...

E lo specchio torna, nel dualismo del film, stavolta è Giovanna che si guarda senza forse riconoscersi o anche solo per veder rivelato a se stessa per prima il pensiero omicida:


Giovanna teme il passaggio degli anni (cioè di invecchiare), vuol che Gino resti accanto a lei per sempre, che la ami per sempre. Sicché mentre strabuzza gli occhi come avesse visto un fantasma (eredità espressiva del cinema muto), comincia a istillare il veleno nelle orecchie dell'amato che stringe a sé: lo spettatore assiste alla scena del bacio drammatico tra i due attraverso lo specchio dell'armadio.

Il debito di Visconti nei confronti del romanzo di Cain, è maggiore di quanto il regista non voglia ammettere, ma quel che è magistrale nel film italiano è come la passione incateni a sé due persone che sono lontanissime nel loro modus vivendi ma che poi attueranno lo stesso modus operandi. Con una differenza, però: dopo l'assassinio (che noi non vediamo, altra ellissi), Gino proverà rimorso, Giovanna no; Gino vorrà abbandonare la trattoria che vede ormai come luogo maledetto, Giovanna invece no.



Gino cerca di evadere una seconda volta, fuggendo da Giovanna (lo aveva già fatto una volta, quando era partito per Ancona - splendide le immagini), prova a farlo a Ferrara con Anita, la giovane per metà ballerina per metà prostituta (?).


>>>>>>>>>SEGUE >>>>


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[1] Gianni Puccini, «Come nacque Ossessione. Il 25 luglio del cinema italiano» in Cinema Nuovo, anno II, n. 24, 1° dic 1953.
[2] Lino Micciché, Visconti e il Neorealismo. Venezia, Marsilio, 1990, p. 50, n. 47.
[3], [4] Luchino Visconti era stato assistente di Jean Renoir e da lui aveva ricevuto la traduzione del romanzo americano. Tale traduzione - secondo la testimonianza di Micciché - il regista francese l'aveva ricevuta da Julien Duvivier, il cui sceneggiatore, Charles Spaak (padre di Catherine Spaak), era lo stesso di Pierre Chenal.
[5] Il giornalista si firma Lunardo, pseudonimo di Eugenio Ferdinando Palmieri. La citazione è tratta da qui: Cappello in testa, "Film" (rivista di cinema), Roma, 26.06.1943. Nell'articolo in questione si cita non dicendo che parla di sé (io ho tagliato).
[6] «Cinema», rivista cinematografica fondata nel 1935, ha come direttore Gianni Puccini (tra gli sceneggiatori di Ossessione) nel 1943.
[7] «Il Cinema antropomorfico» in Cinema, sett.-ott. 1943, p. 108.
[8] Per una visualizzazione veloce dell'argomento, clicca qui.
[9]Film diretto da Mario Bonnard e distribuito nelle sale cinematografiche nel 1943. Ha come protagonisti Anna Magnani e Aldo Fabrizi che ritroveremo di lì a poco in Roma città aperta di Roberto Rossellini.
Jacqueline Spaccini©2010